Se parlate con un procidano, di quelli che conoscono a menadito la storia dell’isola, vi dirà solo alla fine che la fortezza di Terra Murata è stata - anche - un penitenziario. Il racconto indugerà sull’origine rinascimentale del palazzo realizzato nel 1563 da Innico D’Avalos, e ancora sul successivo decentramento abitativo che nel ‘700 diede il là al complesso sistema dei Casali attorno la fortezza (Casale Vascello, Marina Grande, la Corricella). In altri termini, è chiaro il tentativo di non appiattire la storia del Castello di Procida su un particolare durato "soltanto" 150 anni, tanto lungo è stato il periodo durante il quale il complesso di Terra Murata è stato "esclusivamente" una prigione. Prima con i Borbone e poi con lo Stato italiano.
Non che fare emergere gli aspetti legati alla storia politica e urbanistica dell’isola sia un’operazione sbagliata - tutt’altro - e però quando si mette piede per la prima volta nell’ex carcere di Procida sembra di sentire ancora il tintinnio delle chiavi delle guardie e le voci dei detenuti che vi sono stati rinchiusi fino al 1988. Molti per omicidio, come Frank Mannino, storico esponente della Banda Giuliano. Quasi tutti impegnati nelle diverse attività lavorative previste dal regime carcerario: soprattutto l’agricoltura, e poi le telerie e l’officina meccanica appena dopo l’ingresso nell’istituto di pena.
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